Il rinforzo mediante l’utilizzo di pareti strutturali consente di migliorare notevolmente la capacità sismica degli edifici intelaiati in calcestruzzo ed è uno dei metodi con tecnologia tradizionale più diffusi. In questo articolo applicheremo l’analisi statica non lineare (Pushover) per dimensionare l’intervento e valutare l’apporto dato dalle pareti.
Il rinforzo con le pareti comporta un aumento di rigidezza e resistenza, con conseguente diminuzione sia del periodo di vibrare fondamentale sia del periodo elastico del sistema bilineare (T*). Nella verifica con il metodo Pushover, la domanda in spostamento è funzione dello spettro elastico valutato nel periodo T* e del fattore di struttura q*. L’intervento con pareti porta all’aumento della forza Fy* con conseguente diminuzione di q* (vedi formule Circ. 617/2009 par. C7.3.4.1). Il risultato finale è che strutture più rigide e resistenti presentano una domanda in spostamento inferiore: questa è la base del funzionamento della verifica con aggiunta di pareti duttili.
La progettazione dell’intervento richiede lo studio della modalità di collasso che caratterizza l’edificio. Dai risultati dell’analisi Pushover vediamo che la struttura presenta il classico collasso secondo il “meccanismo di piano”, in cui si presenta una prematura formazione di cerniere plastiche concentrate su tutti i pilastri del piano terra (Figura 3). Il coefficiente di sicurezza della verifica dei meccanismi duttili al collasso per lo “stato di fatto” è pari a 0.52 (indicatore di rischio 0.528). Inoltre, il moltiplicatore del collasso fragile (rappresentato dalla resistenza a taglio e dei nodi strutturali) assume un valore ancora più basso corrispondente ad uno spostamento di 7.3 mm e una forza resistente di circa 142 KN (Figura 2).
Elaborando l’analisi sul modello con il rinforzo al solo piano terra abbiamo che il meccanismo di piano debole si sposterà dal piano terra al primo piano (Figura 5). Dall’analisi notiamo che la forza massima (resistenza globale in termini di azioni orizzontali) in questo caso non si incrementa significativamente ne aumenta il moltiplicatore del collasso fragile (coefficiente di sicurezza da 0.05 a 0.07). Si nota comunque una diminuzione dello spostamento ultimo che passa da 85.5 a 75.5 mm.
Questo primo tentativo dimostra che l’intervento al solo piano terra non è una soluzione da percorrere in quanto introduce nella struttura caratteristiche di irregolarità in altezza, su una struttura esistente che ha già un comportamento “regolare” (Figura 6). Oltre a ciò, La notevole differenza di rigidezza tra i piani comporta la riduzione del fattore di partecipazione delle masse del modo di vibrare principale, di conseguenza l’inapplicabilità del metodo Pushover (il fattore di partecipazione delle masse deve essere maggiore del 75%).
Come possiamo notare l’intervento C varia notevolmente il periodo fondamentale della struttura rispetto a quello della struttura esistente: in questi casi è necessario un confronto con il periodo naturale del terreno in modo da non favorire fenomeni di risonanza (vedi articolo: Azione del sisma sulle costruzioni: teoria e intuizioni – 11 giugno 2017). Il rischio che si corre è di migliorare solo “sulla carta” il comportamento della struttura. Un altro vantaggio dell’utilizzo di pareti su tutta l’altezza dell’edificio è la notevole riduzione dei drift di interpiano, portando gli elementi non strutturali ad un livello di danno molto inferiore.
Pertanto, l’intervento nella sua completezza prevede la realizzazione di pareti per tutta l’altezza della struttura concentrate in due dei 5 telai dell’edificio lungo la direzione debole. I risultati delle elaborazioni confermano che la soluzione porta dei benefici notevoli (vedi curve Figura 7). Il fattore di struttura passa da 1.18 dello “stato di fatto” a 2.3 della configurazione “di progetto”, la forza Fy* passa da 142 a 1710 KN, la capacità in spostamento (considerando anche i meccanismi fragili) passa da 7.3 a 97.8 mm, il coefficiente di sicurezza post-interventi raggiunge 1.29 (indicatore di rischio 1.304). I benefici maggiori si hanno per il fatto che la presenza delle pareti “protegge” la struttura dalla modalità di collasso fragile rappresentata dal cedimento dei nodi.
L’intervento proposto è stato studiato valutando il comportamento globale. La fase di progettazione verrà completata studiando i collassi locali (nodi d’angolo e perimetrali) e il ringrosso delle fondazioni che accolgono le pareti. E’ frequente in questi casi che si generi una concentrazione di tensioni negli elementi limitrofi alle pareti, dovuta alla notevole differenza di rigidezza tra questi elementi e la struttura esistente (concentrazioni di tensioni).
Un ultima riflessione riguarda il tipo di analisi utilizzata. Si evince dalla trattazione che l’analisi statica non lineare è un analisi complementare: utilizzata da sola non consente di approfondire tutti i fenomeni che riguardano una struttura. Come abbiamo visto essa va accompagnata da analisi dinamiche e, in particolare per gli elementi di fondazione, da analisi lineari elastiche.
Circolare CSLP n. 617/2009
Software utilizzati
FaTAe – Stacec s.r.l.
File da scaricare:
Buonasera ing. Pisano,
le faccio i complimenti per il post, molto interessante.
Volevo chiederle un approfondimento sull’ipotesi di intervento da lei proposto, in particolare su gli elementi strutturali esistenti;
i pilastri e soprattutto le travi (visto l’inserimento di nuove fasce di collegamento poste sottotrave) come ritiene debbano essere modellati e soprattutto trattati in sede di verifica? Ritiene possibile considerarli elementi strutturali secondari lasciando quindi le azioni sismiche solo alle nuove pareti?.
Grazie per la sua ottima divulgazione.
Grazie per l’attenzione. In generale è possibile trattare le parti strutturali adiacenti alle pareti come elementi secondari. In realtà, una volta realizzato un efficace ancoraggio con adeguati particolari costruttivi, il comportamento degli elementi adiacenti non rispecchia più le teorie classiche (tipo bernoulli): il pilastro non si comporta più come un’asta libera ma è parte della parete. Dal punto di vista della modellazione il considerarli collaboranti o addirittura eliminarli dipende dal rapporto dimensionale che hanno con le pareti aggiuntive. Nel caso dell’esempio la parete è ampiamente forata quindi io le considererei collaboranti. Fosse stata una parete piena avrebbe più senso o eliminarli dal modello (ad esempio se la parete ingloba anche i pilastri) o considerarli come secondari.
Grazie per il chiarimento e buon lavoro.